La Milano delle fabbriche è la città che ha portato l’intero Paese verso il benessere, è la mia Milano.
Erano gli anni ‘60 e a quei tempi i milanesi avevano solo un obiettivo “andá a laurà” e il lavoro c’era per tutti, anche per quei “teruni” che abitavano nell’hinterland e arrivavano in città con le benemerite Ferrovie Nord e che i milanesi chiamavano“ i milanese arius che vegnen gió cun la piena”.
Il fermento era palpabile in tutta la città, la laboriosità dei milanesi poteva esprimersi completamente nella voglia di fare, anche Piazza Duomo era diversa, difronte alla cattedrale luccicavano tante pubblicità, gli autobus avevano la loro fermata proprio in piazza e Corso Vittorio Emanuele era aperto al traffico.
in quel periodo io lavoravo proprio in centro, in Via Agnello. I miei genitori avevano da poco comprato casa e ora abitavamo al Qt8. Per andare al lavoro prendevo la P2, l’unico bus che arrivava in quartiere. Mi facevo a piedi un tratto di strada per entrare ogni giorno a La Rinascente, non acquistavo niente, ma ero felice di avere quella opportunità. Mi sentivo “ padrona del mondo” ero felice di assaporare tanta libertà.
I milanesi andavano in centro con vestiti eleganti, i ragazzi non si facevano di coca o di eroina, al massimo, usciti dal cinema del sabato/domenica pomeriggio, si fermavano a farsi un frullato all’insuperabile Viel di Piazza Diaz o di Piazza Castello, io ero assolutamente una di loro.
Qualche tempo dopo venni assunta all’Alfa Romeo, per i miei genitori era scontato che anch’io dovessi provare l’ebrezza di lavorare nella fabbrica “di famiglia”. Il nonno materno era accanto all’ Ing.Romeo quando venne inaugurato il Portello e i miei zii e i miei genitori vantavano tutti un lavoro in Alfa.
Non ne ero particolarmente felice, sulla P2 avevo conosciuto un ragazzo che mi piaceva molto e temevo di non rivederlo più, in realtà non fu così .. pochi anni dopo lo sposai.
Fu in quella Milano operosa, piena di fabbriche e di opportunità che mio marito ed io costruimmo la nostra famiglia. Di quel periodo rimpiango tutto, ma sono consapevole di essere stata fortunata e di aver vissuto il meglio della mia città.
Il ragazzo dell’autobus
Il mio primo lavoro lo trovai in via Agnello, presso un consulente bancario. Lavorava con me un commesso, una persona molto gentile che faceva di tutto per aiutarmi.
Terminato il lavoro raggiungevo l’Istituto Zanoni, sotto la Galleria, frequentavo un Corso di Inglese con insegnante madrelingua, erano due anni di full immersion e a me piaceva moltissimo.
Salivo sull’autobus per tornare a casa alle 21 e trovavo alla fermata di via Renato Serra la mia nonna che mi aspettava con il nostro piccolo Leone, un bastardino che papà aveva portato a casa in una tasca del cappotto. Di solito un bel piatto di minestrone di riso concludeva la mia giornata e il giorno dopo ero pronta a ricominciare.
Fu proprio quell’autobus dalle lettere verdi a farmi conoscere il ragazzo che sarebbe poi diventato mio marito.
Mario lavorava all’Italica Assicurazioni e saliva sulla P2 all’altezza di Largo Caroli. Io lo vedevo arrivare di corsa perché ero già a bordo dell’autobus, la mia fermata era Piazza Duomo