L’Alzheimer non colpisce solo chi ne è malato. È una malattia che entra nelle case, nelle famiglie, e lentamente ruba i ricordi, i gesti, la quotidianità.
Quindici anni fa mio padre è morto dopo aver convissuto con questa patologia. E con lui, abbiamo perso anche una parte di noi stessi.
Ma mio padre non era un uomo qualunque. Era un ex giocatore del Milan e un dirigente dell’Alfa Romeo e fuori dal campo aveva affrontato sfide infinitamente più dure. Deportato a Mauthausen per motivi politici, in quell’inferno ebbe il coraggio di salvare quattro compagni di lavoro. Per quel gesto e per la sua umanità, gli fu riconosciuto il titolo di Giusto tra le Nazioni: un onore che pochi hanno avuto, e che racconta meglio di ogni parola la sua statura morale.
Ecco perché l’Alzheimer è stato così crudele. Vedere un uomo che aveva affrontato il peggio della storia ridotto a smarrire i ricordi più semplici è stato un dolore immenso. Ma non tutto gli è stato tolto: chi conosce la malattia sa che i ricordi emotivi, quelli più profondi, non si cancellano. Mio padre, fino alla fine, quando mi vedeva, mi riconosceva nel cuore: sorrideva. Quel sorriso era la prova che l’amore e il legame restano anche quando le parole e i nomi svaniscono.
Per questo oggi nel ricordarlo nella sua grandezza vorrei rivolgermi a tutti i parenti dei malati: l’Alzheimer ha provato e proverà con i vostri cari a cancellare tutto, ma non ci riuscirà. La memoria che la malattia ha sottratto continuerà a vivere in noi, nei gesti di coraggio, nei valori che i nostri cari ci hanno lasciato, in quei sorrisi che non si sono mai spenti.
Mio padre è stato, ed è ancora, un grande uomo. Lo è stato nello sport, nella professione, nella vita, nella Storia. E anche nella malattia, perché ci ha insegnato che l’amore vero non conosce oblio.
Qui il libro che ho scritto è che ha aiutato molti familiari dei malati
“Papà mi portava in bicicletta”
Manuela Valletti