
Dopo sette anni di ricerche, un team di Harvard ha dimostrato che l’oligoelemento litio svolge un ruolo centrale nella malattia di Alzheimer. Negli esperimenti sugli animali, è stato in grado di invertire la perdita di memoria e le tipiche alterazioni cerebrali. Una scoperta che potrebbe aprire nuove strade per le terapie.
L’Alzheimer è uno dei grandi misteri della medicina. Mentre le cellule nervose muoiono, i ricercatori ne cercano le cause da decenni. A volte nei geni, a volte nei depositi di proteine nel cervello.
Sebbene di recente siano stati sviluppati nuovi approcci terapeutici, non esiste ancora un farmaco in grado di arrestare o far regredire la malattia. In Svizzera sono circa 150’000 le persone affette da declino cognitivo, soprattutto Alzheimer, e questa cifra potrebbe salire a circa 315’400 entro il 2050.
Ma ora, a sorpresa, un oligoelemento è al centro della scena: il litio. Questo metallo poco appariscente, noto per le batterie e utilizzato per decenni come stabilizzatore dell’umore in psichiatria, sembra svolgere un ruolo fondamentale per la salute del nostro sistema nervoso.
Regressione dei sintomi tipici dell’Alzheimer
Mentre il carbonato di litio viene utilizzato in dosi elevate per i disturbi bipolari – strettamente monitorato perché può stressare i reni e la tiroide – la nuova ricerca indica una dimensione completamente diversa.
Piccole quantità, a un dosaggio migliaia di volte più basso, del cosiddetto orotato di litio, potrebbero essere cruciali nel cervello per proteggere le cellule nervose e influenzare il decorso della malattia di Alzheimer.
Nell’attuale numero di «Nature», Bruce A. Yankner della Harvard Medical School e il suo team presentano i risultati di sette anni di ricerca sull’Alzheimer, con risultati sorprendenti.
I topi ricordano di nuovo
Somministrando piccole dosi di orotato di litio – una forma speciale del metallo – a topi con sintomi di Alzheimer, la loro memoria è tornata. Allo stesso tempo, anche i segni tipici della malattia nel cervello, depositi e grumi, sono chiaramente regrediti.
I topi hanno riacquistato la memoria, quasi come se avessero riacquistato la freschezza mentale di animali giovani.
Lo studio mostra in modo impressionante come il litio agisca nel cervello: stabilizza lo strato protettivo di mielina delle cellule nervose – un tipo di isolamento che assicura una rapida trasmissione dei segnali – sostiene le microglia, che agiscono come «pulitori» nel cervello per rimuovere i rifiuti e le strutture danneggiate, e inibisce la pericolosa formazione di depositi proteici che distruggono le cellule nella malattia di Alzheimer.
Finora la ricerca si è concentrata quasi esclusivamente sul cosiddetto approccio amiloide: vaccini e anticorpi avrebbero dovuto rimuovere le placche nel cervello.
Il litio apre ora una prospettiva completamente diversa: invece di limitarsi a rallentare i sintomi, il metallo potrebbe proteggere a livello cellulare e prevenire il processo della malattia.
Funziona anche per il Parkinson?
«L’orotato di litio è ridicolmente economico. È per questo che dovrebbero essere condotti studi solidi molto rapidamente», ha dichiarato al Washington Post Matt Kaeberlein, ex direttore dell’Healthy Aging and Longevity Research Institute dell’Università di Washington, che non è stato coinvolto nello studio. «Se questo non avviene immediatamente, sarà un imbarazzo per la ricerca sull’Alzheimer».
Ma per quanto i risultati siano promettenti, l’autore principale Bruce A. Yankner invita alla cautela. Non ci sono ancora prove che il litio sia efficace o sicuro nell’uomo.
«Il salto dal modello murino all’uomo è grande», dice il genetista di Harvard. «E può anche far crollare rapidamente le speranze precedenti».
Li-Huei Tsai del MIT, uno dei principali ricercatori sull’Alzheimer, lo definisce «molto eccitante». Sottolinea che molte persone con varianti genetiche a rischio non sviluppano mai la malattia. Forse perché le loro riserve naturali di litio nel cervello sono sufficientemente elevate.
Nel frattempo, oltre alla ricerca sull’Alzheimer, Yankner si sta occupando anche del Parkinson: il suo team sta studiando se l’orotato di litio possa essere efficace anche in questa malattia neurodegenerativa.
