Perché proprio ora? Il Vaticano riapre il caso Orlandi

Papa Bergoglio, con la scomparsa di Benedetto, è più solo e più libero. Un’era si è chiusa: riprendere in mano le carte non vuol dire solo dare una chance alla famiglia di sapere la verità ma soprattutto dare alla Chiesa la possibilità, finalmente, di chiudere il capitolo. E aprire una nuova fase

 Proprio adesso, come mai? La domanda, in realtà, pare persino oziosa: ogni giorno dell’anno si presta al dubbio, quando si riapre un’indagine vecchia di quarant’anni. Eppure anche questa volta uno non può che chiederselo: proprio oggi, come mai. Soprattutto perché il caso che va a riaprirsi è quello di Emanuela Orlandi, che uscì da una lezione di musica in territorio vaticano, fu vista alla fermata dell’autobus per tornare a casa in territorio vaticano, e invece sparì e non se ne seppe più nulla. Oppure se ne seppe troppo, ma non se ne seppe il vero.

Dalle parti della Santa Sede si riferisce che “il promotore di Giustizia Alessandro Diddi ha confermato questa decisione, anche sulla base delle richieste fatte dalla famiglia in varie sedi”, e come sempre in questi casi l’analisi del testo è utile. La decisione viene messa in carico al pubblico ministero d’Oltretevere, innanzitutto, e poi c’è una parola in più, un “anche” riferito alla famiglia. La richiesta di riprendere le indagini, riaprire l’inchiesta, scorrere centinaia di metri lineari di documenti già visti e forse anche di sviste è quindi del Promotore, su impulso della famiglia. Anche.

Come dire: non sono state solo le instancabili iniziative del fratello, ad avere scosso l’albero, ché il Vaticano è quercia millenaria e non basta nemmeno l’ascia. Qualcuno di più alto vuole, e vuole ora. Ora (la successione cronologica degli eventi aiuta quanto l’esame dei testi, da quelle parti) che Joseph Ratzinger giace nella tomba che fu di Giovanni Paolo II. Benedetto e Wojtyla: i due papi che più da vicino sono stati toccati dalla vicenda.

Le rivelazioni di padre Georg

Nelle polemiche molto vere e poco presunte che si sono scatenate, dal 31 dicembre in cui l’Emerito è tornato al Signore, il caso Orlandi è stato un elemento quasi spurio, e se si pone la domanda l’interlocutore ti guarda di tralice. Sì, ma è pur sempre emerso, anche se emerso solo di sguincio. Comunque monsignor Georg Gaenswein ha ammesso che ai tempi di Vatileaks, episodio numero uno, Gabriele il servitore infedele dal suo comodino prese i documenti; pertanto lui stesso, Georg il fedelissimo, mise la testa sul ceppo e, confessando l’ingenuità, invitò Ratzinger a calare la mannaia. Ratzinger però preferì ricorrere alla Grazia, da lui ben conosciuta per studi decennali. Resta ad ogni modo il fatto che secondo alcuni esisteva anche, accanto a quelle carte, un Fascicolo Orlandi; mentre invece Gaenswein nega la circostanza.

Possibile che, in un Vaticano che siamo ormai usi a vedere come campo di scontro tra fazioni incattivite, qualcuno pensi di usare il Fascicolo magari per zittire l’altra parte? L’interlocutore di nuovo ti guarda di tralice. Sembrano poi minimaliste, o soddisfacenti solo in parte minimale, le spiegazioni che vogliono dietro la riapertura una enorme manovra diversiva, vuoi per coprire imbarazzanti vicende come quella del gesuita Rupnik, vuoi per annullare mediaticamente il risorgere di una fronda antibergogliana.

No, la risposta potrebbe ben essere altra: più facile, quindi più complessa.

La verità nei tempi

Emanuela, che aveva quindici anni e tutto il diritto di vivere, scomparve nel nulla e non stiamo qui a ripetere tutte le teorie sulla sua sorte, se non altro perché ogni volta che se ne parla è come girare nuovamente il coltello nelle ferite della famiglia. Di sicuro c’è solo che non se ne seppe più nulla, e che una spiegazione va data. Quella vera. Francesco in quel lontano 22 giugno 1983 non era a Roma, semmai a Rosario. Della faccenda probabilmente seppe poco o nulla per lo meno fino alla sua nomina cardinalizia, ed in più il suo stile e il taglio del suo pontificato prediligono un approccio più da pastore che non da principe della Chiesa. Alle corte: è ancor più difficile per uno come lui fare orecchie da mercante a chi chiede di sapere cosa sia successo a sua sorella. Sì, ma perché ora e non prima? Il quesito resta, sulle prime, irrisolto.

La verità va cercata probabilmente nei tempi. Il 31 dicembre muore Ratzinger, il 4 gennaio iniziano le polemiche, il 5 ci sono i funerali, il 6 il Pontefice chiede di non dare credito alle notizie false.  Il 9 si annuncia l’operazione verità su Emanuela. Si aggiunga, a questa successione, un elemento: Papa Bergoglio, con la scomparsa di Benedetto, è oggettivamente più solo e più libero. Soprattutto – a causa dell’età avanzante – la sua Chiesa è meno somigliante a quella che trovò, nominato vescovo di Buenos Aires e poi Vescovo di Roma.

Insomma, un’era si è chiusa: quella dei due papati senza soluzione di continuità. Che non sono però il suo e quello di Benedetto, ma quello di Benedetto e quello di Giovanni Paolo. Due tempi diversi dello stesso momento, in cui uno degli elementi di persistenza era proprio il caso Orlandi.

Riaprirlo andando  – si consideri il particolare – non tanto a cercare gole profonde dalla voce ormai flebile quanto piuttosto a esaminare con criterio filologico le carte, non solo vuol dire dare una chance alla famiglia di sapere la verità (sono molti i cold case risolti in questo modo), ma soprattutto dare alla Chiesa la possibilità, finalmente, di chiudere il capitolo. E aprire una nuova fase. Proprio adesso. Ecco perché.

Informazioni su redazione@

giornalista e scrittrice milanese, lavora sul web dl 1996 come freelance, ha creato diversi siti di informazione al servizio dei cittadini
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